“Da quando aveva iniziato a scrivere romanzi, molti anni prima, aveva cercato di stabilire quanto e con quale sicurezza si potesse interpretare uno sguardo, un tono di voce, un gesto o un odore, e quali parole potessero esprimerlo meglio. Non era facile, e doveva essere per quello che molti scrittori, compreso lui, finivano per rinunciarci e costellavano i loro romanzi di sospiri, cenni affermativi o negativi del capo e perfino, nei casi più gravi, fronti aggrottate e sopraccigli inarcati. Ma quanto spesso si sospira nella vita reale? Il che non impediva che ci fosse una gran quantità di segni da interpretare, muscoli tesi attorno alla bocca, pupille che si allargano o si contraggono, sorrisi che nascono e muoiono, odori che si producono per il desiderio o per la paura, forse anche per la rabbia. Ciascuno di noi emette ininterrottamente una serie di segnali per l’ambiente circostante, ma come decifrarli, secondo quale codice? Ci sono persone che arrossiscono per la rabbia, mentre altre lo fanno per la timidezza o la vergogna. Come si capisce la differenza tra un rossore e l’altro? E poi ci sono gli impassibili, che sembrano non avere niente da esprimere o che sanno mascherare le loro emozioni tanto bene da rendere impossibile capire cosa succede sotto la maschera. Ma non bisognava dimenticare… lui non doveva dimenticare che raramente le emozioni e le loro espressioni arrivano ordinatamente impacchettate. Per esperienza personale sapeva con quanta rapidità un’emozione o un umore possono trasformarsi nel loro opposto, senza contare che alcuni sono più volubili di altri, a volte a periodi, a volte per tutta la vita.”
Tratto da: Biörn Larsson, 2010, p.200, I poeti morti non scrivono gialli.